Work in progress: Esperimento Fallito!
Ci occuperemo in questo post del Diluvio Universale e della vicenda di Noè, decimo discendente adamitico. Nonostante la complessità dell’argomento non impiegheremo più la sub-rubrica ‘Work in progress’, poiché l’utilizzo del mezzo come tavolo di lavoro ha causato problemi col medium Blogger, ma anche e soprattutto perché questa modalità operativa non ha incontrato il favore dei lettori provocando, all’opposto, diffidenze e incomprensioni. Dichiaro quindi, l’esperimento Work in progress ufficialmente chiuso!
Nel post "Confronto fra criteri differenti", ho considerato la possibilità di applicare tre diversi approcci d’indagine alle versioni canoniche dei testi:
- uno esegetico (religioso),
- uno letterale e realistico,
- uno simbolico matematico.
L’ultimo dei tre criteri, quello denominato ‘simbolico matematico’, ha determinato una serie di fraintendimenti da parte di esegeti dell’area clericale ma anche degli analisti laici, mostratisi poco avvezzi a immaginare una lettura che si discostasse troppo dal conformismo teologico. E anche i matematici e i filosofi, quelli perlomeno che abbiamo cercato di coinvolgere nella nostra ricerca, hanno fornito sempre la stessa, deludente risposta: ‘…le sue osservazioni non rientrano nel bagaglio delle nostre competenze.’ Così Massimo Introvigne (editorialista e storico), Cardinale G. Ravasi, Corrado Augias, Alessandro Barbero (storico), tanto per citare alcuni fra i nomi più conosciuti di quelli che sono riuscito a contattare per via telematica.
Mi è sembrato dunque opportuno, vista tanta, dichiarata ‘supponenza’ degli studiosi di area umanistica (su questioni, in fondo rilevanti della filologia biblica), interpellare categorie di specialisti di estrazione opposta, matematici o scienziati i quali, ancora una volta, non mi hanno riservato migliori incoraggiamenti. Con un tantino di superbia mi son permesso allora di pensare che, forse, la novità non può rientrare nel periplo di competenze canoniche e conformi a tracce, o categorie preesistenti, proprio perché di ‘nuovo’ da dire, secondo certi superati approcci, nulla più rimane.
“La gente (ignorante) prima nega una cosa; poi la minimizza; infine decide che la sapeva già da tempo”
Tornando all’oggetto di questo contributo su Noè, ho trovato particolarmente interessante studiare la struttura delle narrazioni bibliche per poi provare a formulare una rappresentazione astronomica, un po’ sulla falsariga delle belle clip a cui ci ha abituato l’autore di questo sito. Mi chiedevo se egli avesse già pensato di realizzare un video sulla vicenda di Noè, in caso di risposta negativa gli rivolgo un invito esplicito, nella certezza di trovare l’approvazione dei più assidui frequentatori di questo spazio. Nel caso di una risposta affermativa, ci prepareremo al confronto con gli altri criteri (1, 2), lasciando poi alla matematica il compito di suggellare eventuali conferme.
Fabio Painnet Blade
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Noah, il diluvio fra le stelle
di Fabio Painnet Blade
In piena sintonia con quanto argomentato da Giorgio de Santillana, evinciamo che anche la storia di Noè possa esser stata scritta secondo i canoni del linguaggio mitico, tipico delle culture arcaiche che hanno preceduto l’ebraismo. Se così fosse, dovremmo aspettarci di ritrovare robuste correlazioni cifrate riferite al contesto astronomico. Per quanto concerne, invece, il criterio teologico, bisogna osservare che la vicenda del celebre patriarca e del suo formidabile natante, sia stata sempre trattata in maniera ambivalente, a metà strada fra simbolismo spiritualistico e la raffigurazione realistica di un uomo in carne ed ossa, modello di devozione e tipo decisamente avverso a un mondo popolato da genti scellerate, inclini al peccato.
Nel primo caso le associazioni addotte dalla catechesi giudaico-cattolica ci risuonano abbastanza familiari: il diluvio ha sempre rappresentato il castigo divino, il patriarca il primo bacillo di una nuova colonizzazione degli umani, risorti dalle ceneri della corruzione, sotto nuovi e più rassicuranti auspici; nella colomba siamo invece stati abituati a identificare il simbolo della pace, nella montagna sacra (Ararat) il Tempio, e via dicendo. Tutti queste analogie sono state suffragate inoltre, da analoghi modelli orientali (Testi Veda, induismo) e mesopotamici, dai quali proviene l’epopea di Gilgamesh.
Fin qui, roba di tutto rispetto, siamo d’accordo, ma già sentita. Ciò che tuttavia può aver suscitato una logica ilarità è la faccia degli eminenti teologi, quando si son trovati a doversi confrontare con la spiccata immaginazione delle varianti classiche e delle loro colorate analogie che avevano sostituito il sacro Enoch (Colui che camminava fra gli dei) con un singolare folletto dai piedi alati. E non devono aver reagito tanto bene nemmeno dinanzi al soggetto ambiguo partorito in seno alla tradizione gnostica, quel tale detto Tre volte grande, che gli antichi faraoni veneravano altresì come il dio Tooth. Ma la loro indignazione deve aver toccato l’apice solo in tempi recenti, quando alcuni traduttori letterali hanno coniato un nuovo modo di intendere le venerabili scritture degli avi: un ‘nuovo sistema’ di traduzione, a loro dire. Sotto il gonfalone del prode sabaudo Mauro Biglino e del suo motto ‘facciam finta che tutto sia vero’, il buon vecchio che avevamo pensato nei panni di un cocciuto marinaio dai propositi umanitari, con la scusa della sua singolarità somatica (la tradizione descrive il piccolo Noè come un biondo fanciullo dalla pelle slavata, assai diverso dai suoi fratelli.), si è trasformato in un reietto alieno; chissà che botta per i rabbini quando hanno capito che l’origine divina del loro immortale patriarca la si era barattata con quella di strani tipetti verdi col naso a trombetta. Nessuno si scandalizzi dunque se, un domani neanche tanto lontano, un qualche genetista in cerca di fama, fosse pronto a giurare, con la puntuale benedizione della Harvard University, che la sporgenza malleolare ai lati del piede non foss’altro che il rimasuglio atrofizzato di una minuta articolazione in cui, al tempo in cui eravamo poco più che scimmie, avrebbero trovato innesto un bel paio di piccole ali.
Vabbè, bando alle spiritosaggini, ora credo sia meglio dedicare spazio a tematiche più serie.
Per non discostarci troppo dal campo delle più ardite raffigurazioni, vorrei oggi proporne una di sicuro effetto: il Grande Diluvio visto come la rappresentazione simbolica della fertilità. In virtù di questa immagine, credo non sia difficile pensare alla terra come un immenso utero cosmico, pronto ad essere fecondato. In questa metafora, l’arca biblica sarebbe potrebbe allora esser vista come il seme fecondante, immerso nel liquido seminale (l’acqua, l’inondazione), ricolmo dei suoi migliori cromosomi, capaci di replicare infinite copie della specie umana e solo animale. La Genesi, con la sua lista dei discendenti adamitici ci aveva fatto capire, assai esplicitamente, quale fosse il ruolo biologico dell’ultimo dei patriarchi antidiluviani, ed allora, gli esegeti non se la prendano se, per questa volta, la prospettiva dei traduttori letterali, dei quali si è abbondantemente parlato, ci è sembrata quella più vicina alla allegoria della Grande Inseminazione. I due passaggi della Genesi sembrano sotto questo profilo, concatenarsi perfettamente. Abbiamo più volte invocato la matematica per districare certi nodi, tuttavia ci sembra oggi opportuno soffermarci su un’altra suggestiva traduzione, quella del padre Fernand Crombette (che di numeri non tratta), non tanto per attribuirgli cieca fiducia, quanto per analizzare alcune sue traduzioni dal copto antico che, dato il periodo e la larga approssimazione documentale della sua opera, possiamo considerare immuni dagli specifici condizionamenti culturali delle successive epoche.
Egli insomma, non poteva saper nulla di ingegneria genetica, in un periodo in cui con tale appellativo venivano intese soprattutto le combinazioni coi piselli del dottor Mendel; eppure, alcuni vocaboli tradotti dal copto e poi sommate a straordinarie assonanze con la radice latina della parola ‘Dio’, ci hanno indotto a credere che le tracce documentali di un’antichissima sperimentazione di mescola genetica, possa esse davvero stata descritta nella Bibbia.
Ovviamente, è possibile che ci si limitasse alla tecnica degli incroci generazionali, non essendo fruibile altro tipo di tecnologia. Sia chiaro che queste riflessioni, per quanto suggestive non hanno alcun carattere probatorio, possono casomai trasmettere indizi, sui quali ci è parso del tutto congruo riflettere meglio. Ad esempio, su certe assonanze fonetiche o su determinati parallelismi metaforici riguardo le analogie con la fertilità e la fecondazione: tutto insomma degno di esser meglio valutato, non ora però. Magari in un prossimo appuntamento.
L'Mda 45
Mettendo da parte gli efficaci indizi delle metafore biologiche, abbiamo ritenuto di dover segnalare all’attenzione dei lettori anche la presenza di numerose tracce nell’etimologia del vocabolo ‘Dio’, al quale tutti noi, come latini, siamo particolarmente affezionati. Ancora una volta ci siamo ritrovati a dover confutare le tesi dei dotti, per i quali non vi sono, né mai vi son stati, dubbi sul termine ellenico da cui la radice del termine ‘Dio’ era stata tratta. Proprio per questo motivo, siamo dovuti ricorrere a testi alquanto discussi in seno all’esegesi rabbinica, quelli del monaco transalpino Fernand Crombette, senza tralasciare la formula ghematrica calcolata per l’Adam biblico la cui somma riporta al numero 45. Questi elementi ci permetteranno in seguito di descrivere i riscontri matematici ricavati dalle traduzioni dal copto antico.
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Fernand Crombette (1880 - 1970) Foto del Marzo 1958 |
Dalla "Genesi" di padre F. Crombette:
“Saggiamente, Ehelohidjm chiamò questi spazi diversi, la grande parte dove faceva giorno: l'inno di gloria innalzato dagli angeli (o il giorno solenne), e la parte circostante rimasta nelle tenebre: la grande inoccupata (o la grande notte) che ha fine nel sistema consistente.
Ciò che, prima della Parola, era nascosto all'inizio, fu, dopo la Parola, ciò che era visto alla fine. La generazione così prodotta era la prima. “
Di questi versetti ci è sembrato corretto sottolineare il termine Ehelohidjm usato da padre Crombette per indicare ‘Dio’ . La parola Djiou, più familiare a noi latini, è stata tradotta con ‘generazione’, ‘seme’ o ‘germe’. Abbiamo invece osservato che Adam (o anche solo l’acronimo ADM), non sia stato tenuto in minima considerazione, avendo lo stesso Crombette preferito utilizzare il nome di Hahôdôm che vuol dire: colui che è stato generato dalla terra ‘rossa’ (argilla?).
Nella tabella n° 1 abbiamo cercato di schematizzare l’ analisi di questi elementi linguistici.
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Tab. 1 da "Rivelazione I", pag. 137 (Cliccare per Ingrandire) |
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Diciamo subito che la parola Djoou è tradotta da padre Fernand Crombette come ‘generazione’. All'ultima lettera di questa parola, M, viene dato il significato di fare, nel senso di produrre.
Pertanto, Djooum si può scomporre in lingua copta in due parti: Djôou M = generazione prodotta.
Nel versetto 4 del capitolo II° del Libro della Genesi, che S. Girolamo ha tradotto: "Iste sunt generationes cæli e terræ", viene ribadito il precedente concetto, cioè: ‘Queste sono le generazioni/origini del cielo e della terra…’. La parola ebraica è qui Thooueldoouth, ma questo termine è composto da Thoou equivalente a Djoou, Generatio, e da El-Doouth, in copto el toot = (El-Toot) Facere, Manus = Creare. In definitiva, la locuzione "Generazione creata" non è poi tanto diverso da "Generazione prodotta"
Corrispondenze e Relazioni
In fede al metodo che ci siamo imposti di osservare in questa serie di articoli, cercheremo ora di addentrarci nel mondo dei numeri veri e propri, mettendo da parte la rappresentazione ghematrica dalla quale tuttavia, abbiamo preso spunto per ricollegarci al numero dell’Adam.
La sorprendente analogia fra racconto biblico del Diluvio Universale e dinamica dell’atto fecondativo (biologico), ci ha consentito di cogliere alcuni simbolismi numerici. Il numero 40, ad esempio, risulta in questo parallelo metaforico-biologico altamente significativo, poiché i quaranta giorni in cui l’arca vagava per mare, possono essere intesi come un tempo di grande incertezza dovuta al rischio che i flutti se l’ingoiassero con tutto il suo (eccezionale) contenuto. Se ci volgessimo ad osservare la dinamica del processo biologico potrebbero balzare all’occhio sorprendenti analogie: le adolescenti dei nostri tempi dopo un rapporto (completo, ma non calcolato) con un coetaneo non attendono con trepidazione il trascorrere dei fatidici quaranta giorni prima di tirare un sospiro di sollievo e certificare così di non aver innescato una gravidanza? Il differente atteggiamento epocale e generazionale, fa riflettere sul mutamento delle società e dei valori: quello che un tempo era un gioioso auspicio oggi è diventato un turbamento dai contorni drammatici, e traumatici in molti casi. Valutiamo inoltre un’altra analogia interessante nei quaranta giorni del Cristo nel deserto, luogo mistico per eccellenza in cui, ancora una volta, viene messa in gioco la possibilità che la tentazione satanica, rappresentazione eloquente della negazione salvifica, prenda il sopravvento sulla sua vittima, che poi è l’umanità intera. I quaranta giorni possono allora esser visti, in tutti i casi, come un intervallo di imprevedibilità rispetto al futuro.
Venendo adesso a ciò che più si preme considerare, prenderemo in esame i tre numeri che corrispondono all’ acronimo Adam. Per meglio capire proveremo a schematizzare le tre lettere in senso inverso cosicché il nome Adm sia leggibile come Mda, in cui M (40) rappresenti il ciclo lunare, D(4) quello precessionale e A (1) il ciclo terrestre. Moltiplicheremo questi coefficienti per il corrispettivo trecentosessantesimo in relazione ad ogni specifico ciclo, cosicché il 40 sia relazionato, attraverso una moltiplicazione, a un 360° (1,8 ore solari) del ciclo lunare di 28 giorni, il 4 sia relazionato/moltiplicato per il valore di un 360° del ciclo precessionale (72 anni) e 1 per un 360° del ciclo terrestre intorno al sole (un giorno).
In questa uguaglianza potremmo leggere così rispettivamente il risultato di 72 ore (40 x 1,8 ore) = 3 giorni, 280 anni (4 x 72 anni) e infine un giorno = 1 gravidanza. Le seguenti cifre potrebbero così essere interpretate come una scala di relazioni indicante tre giorni solari (luna) e 280 anni solari (ciclo precessionale). Su quest’ultimo dato forniremo il seguente approfondimento.
Abbiamo visto che le smisurate età degli adamitici hanno portato alla rilevazione di un codice/coefficiente = 7,145 (ma sull’operazione ci dilungheremo con dovizia di particolari in un successivo articolo).. Ciò spiegherebbe inoltre perché gli autori biblici, assieme ad ogni discendente, avrebbero riportato anche l’età in cui ognuno di loro sarebbe diventato padre per la prima volta. Questo fattore aggiunto nel testo, faciliterebbe l’operazione di somma necessaria a conoscere il tempo trascorso fra il primo e l’ultimo discendente adamitico..
I riscontri numerici
Luna. La cifra di 72 ore ci riporta immediatamente al significato dei tre giorni della resurrezione di Gesù, un lasso di tempo che può esser tranquillamente paragonato ad una gravidanza, sebbene non di tipo uterino. La nuova Vita di Gesù Risorto sarebbe perciò rimasta in gestazione tre giorni prima di ascendere ai Cieli. Il richiamo alla luna seguirebbe, entro quest’ottica interpretativa, i simboli di una tradizione arcaica proto-cristiana* dimenticata nel successivo Cristianesimo ed annichilita del tutto dal Cattolicesimo.
Precessione degli Equinozi. A questo sistema cosmico si riferisce invece la cifra di 280 anni. Per concepire questa soluzione abbiamo inteso che il tempo fra il primo uomo (Adamo) e l’ultimo dei suoi discendenti (Noè) fosse la ovvia rappre-sentazione di un periodo di ‘gestazione’ precessionale, ovvero una gravidanza rapportata ai riferimenti temporali degli dèi, dato che i tempi degli déi si misurano in relazione all’anno perfetto (ciclo precessionale). Con una semplice addizione abbiamo pertanto potuto rilevare che questo periodo copre un arco di 2006 anni che, relazionato (divisione aritmetica) al coefficiente 7,145 (coefficiente cioè che potrebbe rivelare l’età effettiva di ogni patriarca) ci ha fornito il, quasi, coincidente, risultato di 280,75... anni.
Altre corrispondenze, indizialmente deboli.
Ma le analogie non finiscono qui! Infatti se ponessimo come valore di riferimento (terrestre) la durata biologica di una gravidanza uterina, cioè 280 giorni solari, e stavolta la relazionassimo con una divisione, ai due numeri dell’acronimo ADM, ci troveremmo davanti a risultati altrettanto significativi, sia in relazione al ciclo lunare che a quello precessionale. In questo caso la cifra 280 dovrà essere divisa per i suoi due valori lunare e precessionale, cioè il 40 e il 4 da cui si otterranno le soluzioni 7 (280 giorni/40) e 70 (280 giorni/4) da intendersi inequivocabilmente come gradi angolari da valutare in relazione ai cicli di riferimento lunare e precessionale. Sul risultato di quest’ultima operazione 70 x 71 anni solari = 4970 anni solari (70 x 72 = 5040) ci sarebbe in realtà da discutere, preferiamo pertanto rimandare gli eventuali approfondimenti al commentario di questo post.
Tuttavia, rispetto al ciclo lunare la soluzione ci è parsa molto più precisa ed altamente significativa:7 x 1,86 ore (13,02-06 ore). Ai lettori, adesso, il compito di scoprire questo riferimento alla luna. Per coloro che non dovessero riuscirci mettiamo a disposizione la successiva tabella.
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Durata della Luna nel Cielo (cliccare per ingrandire) |