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venerdì 14 giugno 2019

Il Tesoro del Pesce Australe


Sono anni, ormai, che riconcorro il tempo, senza riuscire a completare il libro in cui ho cercato di riporre in bell'ordine le idee sparse in questo blog e nei video. E sono tutt'ora in cerca del supporto di un buon volonteroso che, rendendosi disponibile a lavorare come correttore di bozze, voglia provare a cimentarsi con le aspre tematiche che affrontiamo qui, aiutandomi a trovare e a risolvere le incongruenze in cui sono inevitabilmente incorso.

Rispolverando il manoscritto, ho trovato un contenuto che mi sembra particolarmente interessante, se visto alla luce delle scoperte di Fabio. In effetti, caro Fabio, devo confessarti che il calcolo che hai abilimente esemplificato nel post "Cosa Nasconde la Bibbia" mi ha destato diverse perplessità, soprattutto perchè consideri la figura di Gesù come il "marcatore" di un istante temporale, corrispondente con l'inizio dell'Era dei Pesci. La mia visione è che Gesù non può essere considerato un marcatore temporale, dal momento che Egli rappresenta un periodo: la Sua intera esistenza, può essere mappata sulla Volta Celeste. Più precisamente, Egli si estende attraverso l'ultimo emiciclo precessionale, che ha avuto inizio con la conclusione dell'Era della Vergine, avvenuta circa 13.000 anni fa.

Eppure, quanto riporto nel seguito, sembra spezzare una lancia in favore della tua ipotesi, che prevede una interruzione della linea del tempo al 19° dell'Era dell'Acquario. Ci ritroviamo al termine della lettura per commentare!



Il Tesoro del Pesce Australe
 estratto dall'inedito "Il Salto dell'Era dell'Acquario"

di Arcana Ricordo

Durante una tornata di riscossione delle tasse, gli esattori richiedono a Pietro di pagare i tributi. Gesù insegna all’apostolo un metodo efficace, ma a dir poco sorprendente, per recuperare il denaro necessario a superare l’incombenza:

"Va' al mare, getta l'amo
e prendi il primo pesce che verrà su.

Aprigli la bocca: troverai uno statère.

Prendilo, e dallo loro per me e per te".



Si tratta di uno dei numerosi episodi evangelici in cui Gesù impartisce un preciso "comando". Le istruzioni vengono fornite in maniera spiccia, senza entrare nei dettagli e dando al lettore l’impressione che il destinatario dell’ordine sappia di che cosa Gesù stia parlando. Il tono di Gesù è semplice, ma autorevole. Sembrano le istruzioni per imbastire uno strano rituale, che gli esegeti normalmente tralasciano di spiegare.


Il Contesto

Come al solito, occorre innanzitutto contestualizzare il comando, esponendo ed analizzando la situazione in cui viene impartito. Ecco il passo del Vangelo di Matteo in versione integrale:

Quando furono giunti a Capernaum,
quelli che riscotevano le didramme
si avvicinarono a Pietro e dissero:

"Il vostro maestro non paga le didramme?"

Egli rispose: "Sì".

Quando fu entrato in casa,
Gesù lo prevenne e gli disse:
"Che te ne pare, Simone?
I re della terra da chi prendono i tributi o l'imposta?
Dai loro figli o dagli stranieri?"

"Dagli stranieri", rispose Pietro.

Gesù gli disse: "I figli, dunque, ne sono esenti.

Ma, per non scandalizzarli, va' al mare,
getta l'amo e prendi il primo pesce che verrà su.
Aprigli la bocca: troverai uno statère.
Prendilo, e dàllo loro per me e per te".



L’episodio è un’ottima base di sperimentazione per verificare l’attitudine della mente ad intraprendere tutte le “vie di fuga” possibili, rinunciando ad una vera comprensione del testo. Non è infatti possibile trovare una spiegazione del comando che sia coerente con l’esperienza: la perplessità diventa quasi sconcerto, sia per la stranezza dell’istruzione, sia per la sicurezza con cui viene espressa. Sicuramente il Maestro sta usando un modo molto indiretto per suggerire ai discepoli di avere fiducia nelle possibilità offerte dalla vita, e a non farsi mai scoraggiare dalle difficoltà. Tuttavia potevano esserci migliaia di modi per esprimere il medesimo concetto in forma analoga; Gesù ne ha scelta una che si distingue per originalità. Come mai?



L'Insegnamento

Prima di entrare nel merito della spiegazione, vorrei soffermarmi su un aspetto forse marginale, ma di sicuro interesse: il tema del rapporto tra Gesù e la spartizione delle risorse materiali. Il quadro narrativo si apre con la presentazione di un potenziale problema: il pagamento delle tasse. Appare subito evidente che, stranamente, né Gesù, né tantomeno Pietro, hanno soldi per pagare [1]: se così non fosse, Gesù non avrebbe alcun bisogno di suggerire a Pietro la linea di condotta che il discepolo seguirà. Insomma, un problema terribilmente attuale! Tanto attuale da far pensare che i problemi economici siano una parte costante della vita, a cui nemmeno Gesù può sottrarsi. Ma sarebbe limitativo fermarsi a questo punto.

In realtà, questo passo offre una occasione per riflettere sulla natura dell’insegnamento di Gesù. Intraprendendo una direzione diametralmente opposta, rispetto alle visioni olistiche orientali ed indiane, che celebrano la vita dei guru, totalmente distaccati dal mondo della materia ed immersi nella disciplina dello spirito, Gesù dimostra di essere un Dio pienamente incarnato, che vive e si confronta con i problemi della vita quotidiana, tipici sia della cultura occidentale, sia dell’epoca contemporanea.

Forse è un Esseno, dispone di conoscenze esoteriche straordinarie e senza ombra di dubbio il suo costante riferimento è lo spirito, ma la sua missione si compie nel cuore della materia. Il che lo porta a confrontarsi con le evidenti sproporzioni che esistono nel mondo materiale: nello specifico, osserva come i figli dei Re, pur essendo ricchi, siano esentati dal pagare le tasse, mentre gli stranieri, poveri o ricchi che siano, non possono sottrarvisi.

A fronte di una simile ingiustizia, la Sua reazione è sorprendentemente pacata: anziché condannare il comportamento dei sovrani terreni e le loro leggi ad personam, si limita ad accettare le condizioni che sono state imposte a Lui e ai Suoi discepoli: non si lamenta, né incolpa il destino per averlo costretto a subire le pretese degli esattori fiscali, in un momento non particolarmente florido dal punto di vista economico.

Se i medesimi atteggiamenti venissero adottati da tutti nell’Italia attuale, sparirebbero all’istante quelle innumerevoli polemiche che quotidianamente nascono su ogni aspetto della vita pubblica e privata, sottraendo immense energie a processi creativi e agli scopi più nobili. Per Gesù, la polemica, il dissenso, la lotta, armata o pacifica, non sono funzionali allo scopo. Lui ragiona sempre in termini finalistici: per Lui, il motivo per cui un determinato evento si verifica è la nuova direzione che quell’evento riesce ad imprimere alla vita.

Il suo pensiero a questo proposito emerge limpidamente in un famoso passo del Vangelo di Giovanni:

Passando vide un uomo cieco dalla nascita.
I suoi discepoli lo interrogarono, dicendo:

"Maestro, chi ha peccato,
lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?"

Gesù rispose:
"Né lui ha peccato, né i suoi genitori;
ma è così, affinché le opere di Dio siano manifestate in lui”.


Le malattie, insegna Gesù, così come le esperienze difficili della vita, e quindi anche i problemi economici, hanno lo scopo di fornire all’uomo un’occasione per riconsiderare la propria esistenza, e se necessario rifondarla su nuovi principi. La cecità non deriva da responsabilità individuabili nel passato, o da colpe proprie o dei congiunti: non ha alcuna causa. Ha invece un preciso scopo, che è favorire il ricongiungimento con Dio, ossia con la propria più profonda essenza. Allora, e soltanto allora, la cecità svanisce, come un ostacolo che non è più necessario affrontare. Così era avvenuto anche per Bartimeo, cieco mendicante, guarito fuori dalle mura di Gerico, che seppe trovare la in sé la forza di chiamare Gesù.

Le tasse, i doveri e persino le ingiustizie del mondo, sono stati creati, non perché l’uomo si opponga ad essi, ma per stimolare l’uomo a trovare rispetto ad essi nuove soluzioni, che Dio è sempre pronto a mostrare. Ed infatti a Pietro viene offerta una semplice soluzione al problema: una fonte di ricchezza inaspettata, utile per far fronte alla necessità. La distribuzione della ricchezza non è quindi mai un problema, perché la ricchezza raggiunge chi sa accoglierla.


Il Riferimento Celeste

Non resta a questo punto che addentrarsi nell’analisi celeste dell’episodio evangelico. Nel cielo sono presenti numerose costellazioni di carattere ittico, ma soltanto una reca una moneta in bocca. Si tratta della costellazione del Pesce Australe, posta ai piedi dell’Acquario, nella cui “bocca”, si trova la luminosa stella Formalhaut, una delle quattro stelle regali, di cui ho estesamente parlato nel video "Il Presepe Celeste".



Il Pesce Australe è una costellazione molto antica, inclusa nel catalogo di Tolomeo, e molto ben delineata. È la costellazione australe a carattere ittico più vicina all’eclittica: la linea che nell'immaginario degli antichi osservatori celesti rappresenta l'orizzonte (essa infatti separa l'emisfero boreale celeste, dove fra le costellazioni sono presenti numerose creature volanti - Aquila, Cigno, Pesce Volante, ecc. - dall'emisfero australe celeste, dove fra le costellazioni troviamo numerose creature marine - Balena, Idra, Pesce Australe, ecc.). La posizione del Pesce Australe, così vicina all'eclittica, lo fa apparire vicino al pelo dell'acqua: in questo, esso è proprio “il primo pesce che verrà su”.

La figura del pesce è uno dei tanti simboli di Cristo, usata soprattutto dalle antiche comunità cristiane, ai tempi delle persecuzioni romane. La parola greca ΙΧΘΥΣ, letteralmente traducibile in italiano con pesce, divenne nell’Era Imperiale l’acronimo di “Ίησοῦς Χριστός, Θεοῦ Υἱός, Σωτήρ”, ossia “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”. Il simbolo del pesce e l’acronimo sono ampiamente rintracciabili nelle catacombe cristiane dell’antica Roma.

Formalhaut è una stella molto particolare, di colore azzurro, che ai radiotelescopi appare contornata da una radiazione che gli astronomi ipotizzano generata da un anello di gas e polveri, una caratteristica piuttosto rara, che la stella condivide con Vega e poche altre. Il suo nome deriva dall'arabo: Fom al-Hut, che significa "la bocca della balena". L’allineamento del punto vernale con la stella Formalhaut avverrà in piena Era dell’Acquario. Precisamente, se si assume come riferimento la griglia eclittica J2000, dovrebbe avvenire al 21° dell'Acquario.

La simbologia della stella regale, unita a quella del pesce, rimando diretto a Cristo, sembra indicare che il momento dell’allineamento a Formalhaut fosse ritenuto particolarmente significativo dai redattori del Vangelo. L’episodio del pagamento delle tasse sembra indicare una possibilità di “pareggiare i conti” con il destino, come se l’universo fosse programmato per fornire una occasione di riscatto.
___
 

[1] Numerosi commentatori osservano come Gesù ed i discepoli potessero contare su risorse economiche non trascurabili. Lo sembrano indicare dettagli come la barca di Pietro: un bene di lusso, considerando il valore che il legno poteva assumere in zone aride come la Galilea; o l’unguento con cui Maria cosparge i piedi di Gesù [Gv. 12,1-8].



Ed eccoci di ritorno dall'immersione, è il caso di dirlo, per i commenti sui numeri!

L'impagabile Stellarium ci informa che Formalhaut si trova a 21° 17' 57" eclittici. Eccola allineata al Sole dell'Equinozio di Primavera dell'anno 3.900!


L'Allineamento di Formalhaut
[Cliccare per Ingrandire]

Che ne dici, Fabio, gli antichi utilizzavano proprio la griglia eclittica J2000?



Arcana Ricordo

martedì 4 giugno 2019

La lista dei re dei regni di Giuda e Israele


Mi perdonerà, spero, il buon Fabio, se pubblico con colpevole ritardo questo suo pregevole contenuto. Alcune contingenze mi hanno impedito di seguire il blog con la necessaria attenzione ed alcuni incovenienti tecnici, mi stavano pericolosamente portando ad ipotizzare una revisione ed ammodernamento di questo spazio .... che (per fortuna) non vedrà mai la luce! Per il momento, mi limito a riportare il frutto del lavoro di Fabio, augurando a tutti buona lettura!
Arcana Ricordo



La lista dei re dei regni di Giuda e Israele 
Dieci gradi esatti del ciclo precessionale degli equinozi
 
di Fabio Painnet Blade
a cura di Maria Atzori


Gli storici non devono aver faticato troppo per ricomporre la cifra indicante la durata dei Regni di Giuda e Israele dall’epoca di Davide a quella di Nabucodonosor, il sovrano babilonese noto per la deportazione del popolo ebraico. Una volta tanto, l’anonimo autore, ammesso che sia stato il solo, non si è ingegnato a comporre e decomporre sommatorie complicate, a costringere il lettore a esercizi di conversione di pesi e valori monetari in sottomisure, multipli e sottomultipli: niente di tutto ciò! Pare proprio che stavolta le somme trascritte abbiano rappresentato esattamente quantità temporali, per la gioia dei posteri e degli accademici che, con disinvoltura, hanno potuto proporre le loro soluzioni con un margine d’errore minimo. Ne sono scaturite datazioni perfino attendibili che ci fanno supporre un inizio e una fine del lasso di tempo in cui si sono alternati i regni di Giuda a sud, e di Israele a nord dell’antico territorio ebraico. 

Le nostre valutazioni finali tuttavia hanno portato a conclusioni diverse e soprattutto a comprendere il senso di sviste ed errori tanto banali da lasciare intatto il sospetto che non fossero frutto di distrazione. Non ci è parso infatti che qualcuno si sia dannato l’anima a cercare quel valore, il settantadue, che a noi è parso risolutivo rispetto molti elementi controversi. Ebbene, a quanto pare, anche in siffatti conteggi di anni, il numero settantadue torna tondo e non-eludibile in forma di multiplo, come 720. 

Questa importante cifra, nella misura di gradi angolari, rivela fra le altre cose, anche la durata di due terzi del fenomeno legato all’oscillazione dell’asse terrestre conosciuto oggi come Obliquità dell’eclittica (in relazione all’angolo dell’asse della terra rispetto alla perpendicolare al piano dell’orbita della terra rispetto al sole) il cui valore cambia ciclicamente di un ampiezza compresa fra i 22,5° e i 24,5° in un periodo di circa 40.000 anni solari. 

Nell’anno 2000 l’inclinazione dell’eclittica aveva raggiunto i 23° 26’. L’autore dei testi pertanto, deve aver fatto in modo che, le cifre degli anni andassero a sommarsi in modo esatto per ottenere la quantità che gli interessava celare, il settecentoventi, e già questo semplice dato suggerisce che nel primo e nel secondo libro dei Re, si sia voluto indicare la durata - in anni - di un arco temporale corrispondente, in gradi, a ben due anni platonici. 

La nostra riflessione finale è che, in tutta probabilità, i valori riportati nel testo possano anche conservare l’attendibilità storica, benché nulla ci vieta di pensare che in fondo qualche ‘aggiustamento’, il nostro anonimo autore, debba pur averlo fatto. Ciò che importava tenere in memoria era quindi il risultato della sommatoria finale, non tanto la corrispondenza della singola durata dei regni, a dimostrazione del fatto che egli, in fondo, qualche nozione astronomica doveva pur averla ricevuta da qualcuno e che perciò, per quanto sconosciuto, egli sarebbe potuto benissimo appartenere a una classe di esperti sapienti che conoscevano i significati astronomico-matematici dei libri precedenti e soprattutto erano a conoscenza del linguaggio con cui esprimersi. Non si trattava quindi di uno scribacchino qualunque e semmai lo fosse stato, di sicuro si era avvalso di consulenti molto preparati. 

Messa da parte l’ironia, ci siamo proposti di analizzare i dati secondo il criterio applicato fino ad ora. Nelle due seguenti cartelle riassuntive scaricate dalla rete, ciascuno potrà, calcolatrice alla mano, eseguire liberamente i propri conteggi, non lasciandosi sviare dalla prolissità di ignari commentatori, o dalle imbeccate di personalità dotte il cui interesse, per loro stessa ammissione, si è soffermato soprattutto sulla porzione alfabetica del testo. 


Re di Giuda
[cliccare per ingrandire]

Re di Israele
[cliccare per ingrandire]



L’ ‘errore’ calcolato

Nei due elenchi, nella prima colonna a destra del nome sono indicati gli anni in cui ha governato ogni sovrano dei regni di Giuda e di Israele. Le sommatorie complete registrano 398,5 anni per i re di Giuda e Gerusalemme e 236 anni, sette mesi e sette giorni di governo per i re di Israele. La somma aritmetica delle due quantità fornisce una prima, indicativa soluzione: 635 anni, un mese e sette giorni solari. Il valore del tempo ottenuto sembrerà, a primo acchito, poco significativo, se però ad esso provassimo ad aggiungere gli anni di regno di Davide e di Salomone, rispettivamente trentatre e quaranta, ecco che il risultato, settecento e otto anni, comincerebbe a suggerire qualcosa di familiare.
 

Lungi dall’accogliere senza riserve una simile soluzione abbiamo tuttavia spinto il nostro scetticismo molto più avanti di quanto i computi ufficiali volessero indicare, ed allora ci siamo avventurati nei contenuti più reconditi del testo canonico, versetto per versetto. Solo allora il nodo, cioè l’approssimazione di comodo, è venuta al pettine con un dato che, difficilmente, un occhio distratto avrebbe potuto notare.

Soffermandoci quindi con maggior puntigliosità su ogni singolo passaggio dei vari capitoli e dei racconti riportati nei testi di 1Re e 2Re, abbiamo verificato che, laddove è scritto “nell’anno ventisettesimo di Geroboamo (II) re d’Israele” (2Re 15: 1) , l’autore sembra commettere un errore (Errore rilevato peraltro anche da Martin Anstey nel suo libro The romance of the Bible chronology*). Il regno di Emazia, in realtà, sarebbe stato lungo ben ventinove anni, partendo infatti dal secondo anno di regno di Ioas (re d’Israele), la fine sarebbe dovuta coincidere quindi col quindicesimo anno di re Geroboamo II e non col ventisettesimo anno del suo regno, come riporta l’autore biblico.

Questo buco di dodici anni sommato ai settecento e otto anni della somma complessiva dà come risultato 720 gradi, corrispondenti alla misura in ampiezza dell’oscillazione completa dell’asse terrestre sulla perpendicolare dell’eclittica; questa misura viene riproposta anche nel capitolo ottavo del Libro di Esdra (Esdra 8: 26), dove la quantità di preziosi espressa in talenti e dàrici d’oro (720) appare ancora una volta indicativa. Da questo momento in poi, la base settantadue (al posto di quella più precisa rilevata in Genesi), verrà continuamente riproposta nei passi dei testi biblici, sia del Vecchio quanto del Nuovo Testamento, come base della cifra dalla quale si sono calcolati i 720 gradi angolari di cui abbiamo già spiegato il significato astronomico.

Non sembrerebbero sussistere ulteriori dubbi pertanto, rispetto al vero risultato che l’autore, sebbene in forma celata, avesse voluto indicare. Ecco i numeri - dichiarati da fonte autoriale - a cui attenersi per svolgere il conteggio finale: 



  • Durata regno Giuda                = anni 398,5
  • Durata regno di Israele e Samaria = anni 236,5 + 37 giorni
  • Durata regno di Davide            = anni 33
  • Durata regno Salomone             = anni 40 
  • Intervallo/errore (2Re 15: 1)     = anni 12
                               Totale = anni 720 + 37 giorni
 

Gli anni possono avere valore di anni solari e rappresentare un arco temporale di dieci gradi precessionali, oppure rappresentano gradi angolari ed allora la durata è quella di due anni platonici ( 51.840 anni solari ). 

Non crediamo, quindi, di aver esagerato nel ritenere lo sconosciuto autore dei due libri dei Re non meno acuto e ingegnoso dei suoi predecessori e bisogna persino riconoscere quanto, anche lui, in fede ai magisteri di un antica casta sacerdotale (rabbinica), sia stato estremamente abile nell’ architettare un efficace diversivo per sviare i comuni lettori. E bisogna anche ammettere che ci sia riuscito egregiamente, dal momento che i cosiddetti esperti in materia, a distanza di (probabili) millenni brancolano ancora nel buio, tacciando di inattendibilità resoconti che - contro il parere di altri importanti Autori - non sono stati redatti allo scopo di fornire dati storici, ma più propriamente, come questo nostro lavoro ha finora cercato di certificare, al fine di trasmettere in un linguaggio tecnico (che Giorgio de Santillana ha definito ‘arcaico’),informazioni scientifiche di importanza capitale per la civiltà e la cultura ebraica dell’epoca. 

Il numero settantadue ci fornisce allora la pietra di paragone per eccellenza, il numero emblematico con cui avallare i caratteri di un linguaggio (arcaico, mitico) piuttosto ‘distratto’ quando si è trattato di fornire cronache , racconti realistici e operazioni di calcolo di quantità fittizie, ma attentissimo e scrupoloso quando si è trattato di riportare, simboleggiare e criptare, nozioni scientifiche spesso riferite a cicli temporali astronomici. Anche in questo caso dei due Libri dei Re abbiamo visto e tristemente constatato come i solerti cattedratici non si siano astenuti dal negare che ogni errore aveva una precisa funzione criptica e ogni risultato, alla fine, riportava regolarmente alle somme e soluzioni tarate sui valori di riferimento, di cui il settantadue ha rappresentato la cifra principe. 

In chiusura di capitolo riportiamo il parere egli accademici di professione. Per dovere di laconicità abbiamo voluto limitare una lista che si sarebbe presentata molto lunga e noiosa, a questi pochi critici di riconosciuta fama: William Albright, Gershon Galil, Martin Anstey, Mario Liverani e Marco Nobile. 

William Albright nel saggio The chronology of the divided monarchy of Israel  sostiene di aver dimostrato l’inattendibilità cronologica  dei libri citati avendo evidenziato, in un punto particolare della cronologia dei Re, una grave incongruenza. In particolare egli ritiene che sommando gli anni da Jeu a Facee, re d’Israele, dovremmo ottenere una cifra di anni identica a quella dei re di Giuda, cioè 114 anni perché, Jeu (Israele) e Atalia (Giuda) iniziano a regnare lo stesso anno e lo stesso dicasi di Facee (Israele) e Jotam (Giuda) dando luogo a un perfetta sintonia, che però Albright non rintraccia poiché per Giuda calcola 128 anni, mentre per Israele, come abbiamo detto, 114. Da questa constatazione egli formula il suo giudizio di inaffidabilità dei testi biblici. 

Anche Gershon Galil scrive che la cronologia dei Re presenta gravi incongruenze. Lo studioso al Cap. 2 pag. 12 di The chronology of the Kings of Israel and Judah riporta due casi: Il primo fa riferimento agli anni che intercorrono da Geroboamo alla morte di Joram, entrambi re d’Israele e quelli che passano dall’incoronazione di Roboamo alla morte di Ocozia, re di Giuda. 

Egli sostiene che dovrebbero essere espressi da una cifra identica, mentre ciò non accade.

Martin Anstey * nel il suo lavoro del 1913 The romance of the Bible chronology per avallare la tesi dell’inaffidabilità degli autori biblici  mette in evidenza fonti che potremmo riassumere così: consideriamo per esempio 2Re 15,1 dove ci viene detto che Azaria cominciò a regnare in Giuda il 27° anno del regno di Geroboamo II° d’Israele. Questo è un problema perché 2Re 14,23 dice che Geroboamo II° divenne re d’Israele nel 15° anno di Amazia di Giuda ed Amasia ha regnato solo 29 anni (2Re 14,2).

Ciò significa che Amasia è morto intorno al 15° anno di Geroboamo d’Israele, generando un vuoto di 12 anni tra la morte di Amasia e l’ascesa di Ozia. Anstey fornisce delle spiegazioni per dire che gli anni erano 11 e rafforzare così la sua sfiducia sulla precisione della Bibbia. 

Il titolo del libro di Mario Liverani Oltre la Bibbia invita il lettore ad andare oltre il testo sacro che di sacro per l’autore non ha niente. Colpisce la veemenza del giudizio che dà sui due Libri dei Re: “...la cronologia è confusa e i 40 anni per i regni di Giuda e Israele sono ovviamente fittizi.” Sembra proprio che tale affermazione nasca dalla semplice constatazione che, ricorrendo per due volte il numero 40, è giocoforza pensare che siano cifre messe lì a casaccio. Con Albright, Galil e Dunstey, egli trova ovvio sostenere l’inattendibilità della cronologia dei Re sulla base di un calcolo di seconda mano e per giunta sbagliato. 

Secondo Marco Nobile, autore di 1-2 Re, la costruzione teologica è qualcosa che si discosta profondamente dal metodo storico, perché il redattore ha come scopo principale “…l’ interpretazione della storia alla luce della sua fede jahavista: in breve, egli - per Nobile - voleva fare della teologia biblica. Per raggiungere questo scopo, egli ha usato come modalità lo strumentario idoneo per un’operazione storiografica come si concepiva in antico: raccolta e selezione di fonti, rimaneggiamento del materiale a disposizione e forte intervento manipolativo per piegare detto materiale alla sua tesi. Questo modo di lavorare si può tuttavia definire ‘ideologico’ e tanto basta a Liverani per formulare i suoi duri giudizi sul valore storico dei testi biblici. 

Conclusioni 

Dopo aver letto questi pareri ci chiediamo se è possibile che illustri professori si siano sbilanciati in pareri tanto audaci e, a nostro modo di intendere, persino un tantino supponenti: “cronologia fittizia” ; “cifre buttate lì a casaccio.”; “gravi incongruenze”; “inaffidabilità dei redattori”. Questo è il gergo a loro più congeniale nell’ emettere pareri che di tutto tengono conto eccetto che della loro reiterata incapacità critica. 

Possibile che abbiano scritto saggi così apprezzati senza aver tenuto conto che il linguaggio arcaico non è affatto un espediente per scrivere racconti di fantasia? Possibile che spesso si siano avvalsi di ricostruzioni cronologiche a dir poco cervellotiche, precludendo ai più la possibilità di accedervi?