Osservando il contesto sociale, economico e culturale generato dal Covid, è abbastanza naturale interrogarsi circa la bontà e l'efficacia di uno dei fondamenti della nostra società: la proprietà privata. Alla riduzione dei profitti esperita da chi fornisce ogni giorno servizi pubblici, dalla ristorazione, alla vendita al dettaglio, all'assistenza, ecc., il 2020 ha fatto corrispondere una
notevole crescita del capitale privato
degli uomini più ricchi del pianeta. Con una certa lungimiranza, i fornitori di servizi globali si sono organizzati per tempo, per recapitare a tutti tutto il necessario per superare il periodo di crisi, direttamente a domicilio.
In controtendenza rispetto a questo eccezionale accumulo di capitale privato, alcune organizzazioni sovranazionali -
principalmente il WEF
- hanno manifestato ed iniziato a promuovere un programma che prevede, tra le altre cose, l'abolizione della proprietà privata. Non manca chi ritiene che gli eventi che dovrebbero portare a questo cambio di paradigma epocale potrebbero verificarsi in tempi assai prossimi.
Come sempre non riesco a vedere tutto il bene da una parte e tutto il male dall'altra: sono consapevole del fatto che un processo di abolizione progressiva della proprietà privata potrebbe avvenire in maniera traumatica. Tuttavia l'obiettivo merita di essere attentamente valutato, senza pregiudizio. In particolare mi interessa comprendere se ed in che modo la proprietà privata possa contribuire, o sia invece in grado di rallentare, la crescita personale e spirituale.
Nel dubbio, ho rivolto lo sguardo ai Vangeli, cercando le indicazioni che Gesù fornisce circa la proprietà privata.
Arcana Ricordo
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Un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: «Maestro, che devo fare di buono per avere la vita eterna?» Gesù gli rispose: «Perché m'interroghi intorno a ciò che è buono? Uno solo è il buono. Ma se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». «Quali?» gli chiese. E Gesù rispose: «Questi: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso. Onora tuo padre e tua madre, e ama il tuo prossimo come te stesso». E il giovane a lui: «Tutte queste cose le ho osservate; che mi manca ancora?» Gesù gli disse: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi ciò che hai e dàllo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi». Ma il giovane, udita questa parola, se ne andò rattristato, perché aveva molti beni. E Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico in verità che difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. E ripeto: è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio». I suoi discepoli, udito questo, furono sbigottiti e dicevano: «Chi dunque può essere salvato?» Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini questo è impossibile; ma a Dio ogni cosa è possibile».
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Mt. 19, 16-26
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Va chiarito subito un aspetto. In questo breve passo, Gesù non parla della proprietà privata; si limita ad evidenziare un aspetto che chiunque abbia sperimentato la proprietà privata ha constatato personalmente: i beni che possiedi, in un certo senso ti posseggono. Nel momento in cui delimiti il tuo spazio e determini il tuo diritto a disporre di un determinato bene, sottraendolo al medesimo diritto da parte di un altro, ti assumi anche la responsabilità della cura di quel bene. E la cura può essere estremamente impegnativa: anzi, il tempo richiesto alla gestione e alla cura dei beni materiali cresce in ragione proporzionale rispetto al loro numero. Quel tempo deve essere necessariamente sottratto alla cura della ricchezza spirituale.
Non mi pare di intravedere in questo brano una maledizione della proprietà privata e nemmeno una sua delegittimazione: esiste da parte di Gesù una sincera preoccupazione circa il danno spirituale che la cura della proprietà privata può arrecare, ma esiste altresì la consapevolezza che a priori questo danno non può essere quantificato. Un uomo d'affari, fortemente focalizzato sul proprio successo può accedere al Regno dei Cieli? "Difficile" è la risposta di Gesù, ma non impossibile: «Agli uomini questo è impossibile; ma a Dio ogni cosa è possibile».
Il giovane ricco è senz'altro una persona speciale: non solo conosce Gesù, perlomeno di fama, ma cerca di seguire il Suo insegnamento, mettendo in pratica gli insegnamenti ricevuti. Ma ad un certo punto sente che ancora gli manca un senso di pienezza e di compimento. Quel vuoto lo spinge a porre la domanda: «che mi manca ancora?». La risposta che lui ottiene da Gesù non vale per tutti: vale per chi avverte in se stesso esattamente quel senso di vuoto. E' evidente che la cessione materiale dei propri beni ai poveri non esimerebbe il giovane dal senso di vuoto, ma anzi aumenterebbe in lui l'angoscia. Cedere la propria casa, l'azienda di famiglia, terreni, fabbricati e beni mobili a persone che non siano in grado di gestirli e prendersene cura, farebbe sorgere in lui il senso di colpa, specialmente nei confronti delle persone che lavoravano per lui: domestici, cuochi e giardinieri in casa, impiegati ed operai in azienda, braccianti e contadini nei terreni. Chi si prenderebbe cura di queste persone? Di sicuro si chiederebbe come mai per lui non è valso l'insegnamento di Abramo, che pur essendo molto ricco ha sempre vissuto nelle grazie del Signore.
Allora che fare? In effetti, la risposta di Gesù è più sottile. Il Maestro invita il giovane a cambiare atteggiamento mentale: a non sentirsi più oppresso dalle responsabilità connesse al possesso dei beni. Si tratta di un atteggiamento che il giovane sa di non poter raggiungere senza una profonda revisione dei fondamenti della sua esistenza: ecco perché si ritira con aria mesta. Il possesso può essere vissuto con estrema disinvoltura e grazia: dal possesso di proprietà ben amministrate possono nascere opportunità per persone che per diversi motivi, non sono state in grado di accumulare le medesime ricchezze. Il punto che a mio avviso Gesù evidenzia, e che il ricco giovane non riesce a focalizzare, è che la vita spirituale può svilupparsi armoniosamente in un contesto di ricchezza materiale, quando si riesce a vivere quella ricchezza, quasi come se non esistesse. Di fronte ad un simile atteggiamento di benedizione nei confronti della vita, Gesù non esita a dispiegare tutta la potenza del comandamento «non rubare», proprio a tutela sia della proprietà privata, sia della stabilità emotiva, che un furto ha il potere di compromettere.
Sei ricco? Buon per te! Ma riesci ad avere un sincero scambio di opinioni con chiunque senza sentirti a disagio, o far sentire a disagio il tuo interlocutore? Riesci a donare con semplicità, senza far pesare un tuo dono come se fosse elemosina? Riesci a fare partecipi altri delle tue ricchezze, in modo che anch'essi possano beneficiarne, glorificando i doni che hai ricevuto? Riesci a condividere un momento emozionante con la semplicità e la spontaneità di chi, al contrario di te, non ha la responsabilità di poter sconvolgere la vita di molte persone per una tua decisione? Ecco, se riesci a fare questo, allora la tua ricchezza può diventare il tuo lasciapassare per attraversare le porte del Regno.
Tutto chiaro, almeno apparentemente, ma capisco che all'atto pratico non possa non sorgere una domanda piuttosto impegnativa: ma allora ... come dovrebbe essere ripartita la ricchezza?
Or uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». Ma Gesù gli rispose: «Uomo, chi mi ha costituito su di voi giudice o spartitore?» Poi disse loro: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita».
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Lc. 12, 13-15
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Non ci si può rivolgere al Cielo chiedendo di intercedere per noi in tema di spartizione delle richieste materiali. Il motivo è molto semplice: il Cielo concede già ad ognuno secondo un principio di assoluta equità e giustizia. All'uomo non è consentito esprimere una opinione sulle Leggi celesti; possono soltanto essere accettate, con la speranza di riuscire ad arrivare a comprenderle. Dal punto di vista dell'anima, non ha alcuna importanza che il percorso di vita sia accidentato o semplice e lineare. Quello che conta è l'esperienza che l'anima riesce a fare, trovandosi protagonista di una serie di eventi in cui vengono messi alla prova i fondamenti spirituali sulla base dei quali ciascuno progetta la propria esistenza. In questa ottica, Gesù ritiene assolutamente ammissibile che venga commesso un torto. Vorrà dire che chi ha subito il torto dovrà vivere un determinato tipo di esperienza che possa aiutarlo a superare certe idee precostituite, certi traumi interiori, che gli impediscono di progredire lungo il cammino della propria evoluzione.
Ogni logica di distribuzione della ricchezza, incluse quelle che costituiscono il fondamento delle ideologie più diffuse, come capitalismo, comunismo, fino ad arrivare alle loro derivazioni autoritarie, hanno per Gesù la medesima importanza: zero. Ciò che conta è l'esperienza personale che il singolo individuo fa vivendo un determinato periodo storico, in cui ci si mette d'accordo per adottare un particolare criterio di distribuzione della ricchezza. In ciascun contesto, esistono individui che hanno accesso a posizioni più agiate rispetto ad altri ed in costoro, Gesù auspica di poter vedere quell'atteggiamento disinteressato e spontaneo nei confronti della ricchezza che abbiamo esaminato al punto precedente.
Mi sembra interessante notare che la richiesta che l'uomo "della folla" rivolge a Gesù sia assolutamente legittima. Non sta chiedendo che gli venga attribuito qualcosa di non suo; sta semplicemente chiedendo che vengano applicati criteri oggettivi di equità nella ripartizione dell'eredità. Tuttavia, la risposta di Gesù è impietosa: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia». Il Signore sa vedere oltre la cortina fumogena alzata dal richiedente ed qualifica la motivazione che scatena tale richiesta come banale "avarizia", dunque indegna di qualunque considerazione. Come sanno bene le anime che Dante incontra nel Paradiso, la beatitudine può essere raggiunta soltanto se si riesce ad accettare, rispettare ed amare la propria condizione attuale. Soltanto quando l'insegnamento è stato pienamente recepito è possibile rivolgere le energie verso la costruzione di un futuro differente, che ognuno di noi spera possa essere migliore.
Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un fattore, il quale fu accusato davanti a lui di sperperare i suoi beni. Egli lo chiamò e gli disse: "Che cos'è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi più essere mio fattore". Il fattore disse fra sé: "Che farò, ora che il padrone mi toglie l'amministrazione? Di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno. So quello che farò, perché qualcuno mi riceva in casa sua quando dovrò lasciare l'amministrazione".
Fece venire uno per uno i debitori del suo padrone, e disse al primo: "Quanto devi al mio padrone?" Quello rispose: "Cento bati d'olio". Egli disse: "Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: cinquanta". Poi disse a un altro: "E tu, quanto devi?" Quello rispose: "Cento cori di grano". Egli disse: "Prendi la tua scritta, e scrivi: ottanta".
E il padrone lodò il fattore disonesto perché aveva agito con avvedutezza; poiché i figli di questo mondo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce.
E io vi dico: fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne. Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi. Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere? E, se non siete stati fedeli nei beni altrui, chi vi darà i vostri? Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona».
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Lc. 16, 1-13
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Chi pensa che il Vangelo proclami la giustizia terrena ... semplicemente non lo ha mai letto. In guerra ed amore tutto è lecito e nei Vangeli le regole vengono create per essere sistematicamente distrutte, sulla base del principio che le regole devono servire all'uomo e non viceversa. Qui ci troviamo di fronte nientemeno che ad un
padrone
, che nella parabola rappresenta il Padre, che loda un uomo di cui si fidava per aver contravvenuto ad uno dei principali Comandamenti della Sua Legge: non rubare. Pergiunta, il furto è aggravato dal tradimento e dovremmo ricordare che Dante pone i "traditori di chi si fida" nelle acque del Cocito, congelato dai venti generati dal battito d'ali di Lucifero. Eppure Gesù riesce a vedere del buono persino in un'anima che il più elevato Poeta mai esistito condannerebbe senza appello alla più terribile delle torture. Come mai?
La vicenda è chiara: un fattore accusato di mala-gestione del patrimonio del suo padrone viene licenziato; di fronte alla non rosea prospettiva di trovarsi senza lavoro, il fattore inizia a condonare debiti ai creditori del suo padrone, sperando di riuscire a suscitare benevolenza in loro, così da indurli ad offrirgli un impiego dopo - diremmo oggi - la risoluzione del suo contratto di lavoro. E quando il Padrone scopre l'inganno, anziché condannare il fattore alla fustigazione, lo loda per l'intraprendenza!
A quelli "perbene", quelli che "si sentono buoni", che sono "inclusivi" e pieni di zelante petulanza nel ribadire il diritto degli sconfitti, questo passo evangelico va decisamente di traverso, quando constatano che:
- il fattore non ha una famiglia numerosa da mantenere,
- non è una "categoria protetta", non è invalido e sembra godere di ottima salute,
- non è nullatenente, ma anzi dobbiamo presumere che conduca una vita dignitosa,
- considera attentamente diverse alternative di vita che non lo costringano a commettere un illecito, ma le scarta deliberatamente ("Di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno")
Come è possibile che il Padre lodi le azioni illecite di un simile esponente della
middle-class
? I motivi sono sostanzialmente due. Il primo è una fondamentale onestà verso se stesso, che il fattore dimostra di avere quando ammette le proprie debolezze rispetto alle altenrative che la vita gli prospetta: nell'affermare "
di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno
", fa una sincera ammissione di fragilità, sia fisica, sia psicologica, in cui mette letteralmente a nudo la propria essenza. Questo passaggio è in effetti fondamentale: quando Mosè incontra il roveto ardente, prima di parlare Dio lo invita a "togliersi i sandali", cioè a liberarsi del proprio ruolo. Nella sincera considerazione dell'alternativa, anche il fattore si spoglia sinceramente del proprio ruolo. Non si propone come "colui che ha svolto un lavoro onorevole fino a quel momento, e che quindi merita una posizione rispettabile", ma al contrario, si immedesima nella condizione di colui che chiede l'elemosina e scopre di non esserci portato: molto semplicemente, non sarebbe convincente!
Il secondo elemento è l'astuzia che il fattore dimostra nel non sottrarre immediatamente beni al proprio padrone in vista dei "tempi duri a venire", ma concentrandosi sulla possibilità di entrare nelle grazie di qualche altro personaggio che fa affari con lui. A tal fine, valuta attentamente di non danneggiare irreparabilmente il proprio padrone, ma lavora ad un accomodamento che consenta al padrone di procedere nella propria attività e ai debitori di avere un vantaggio economico, ritagliando uno spazio per se. Sicuramente si tratta di una frode, ma non viene perpetrata con malevolenza, bensì condotta con un occhio di riguardo per tutte le parti in causa.
Coloro che hanno gridato "onestà nelle istituzioni!" non possono restare indifferenti di fronte ad un tale scempio. Eppure in ogni contesto dove è possibile, le Scritture incitano a non giudicare secondo parametri terreni, ma a saper vedere oltre.
Non creda donna Berta e ser Martino,
per vedere un furare, altro offerere,
vederli dentro al consiglio divino;
ché quel può surgere, e quel può cadere.
Non credano le persone della strada ("Berta" e "Martino" sono nomi comuni di persone comuni, ai tempi di Dante), che il proprio metro di giudizio, rispetto a chi ruba ("furare"), o fa beneficienza ("offerere"), possa essere applicato anche agli occhi del Padre, poiché Egli giudica secondo il metro dell'anima ed è capace di mettere in evidenza le reali motivazioni di ciascuno. Di sicuro, le deficienze umane in termini di giudizio impediscono la nascita del mondo perfetto - o forse il semplice riconoscimento della perfezione intrinseca del mondo. Gesù non si sofferma più di tanto sul dilemma, ma dà per scontato che questa incapacità umana faccia sì che noi percepiamo le ricchezze del mondo come "ingiuste", proprio perché soggette alla legge della menzogna. Il suggerimento che il Signore offre è di fare esperienza con le ricchezze di quaggiù, per riuscire a comprendere i principi cardine che regolano il funzionamento dell'universo: di sicuro, una volta che le anime avranno reimparato a riconoscere la propria magnificenza e potranno nuovamente risplendere nella luce del Regno, ogni carenza in tal senso assumerà una gravità di gran lunga superiore.
In buona sostanza, non stiamo a dare troppa importanza alla materia, alla proprietà privata e alla distribuzione della ricchezza, ma cerchiamo di utilizzarle per imparare il valore di rapporti solidi e sinceri, che riescano a sopravvivere all'esaurimento della dimensione materiale.
Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
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Mt. 6, 31-34
]
Ci troviamo di fronte alla chiosa in merito ai ragionamenti fatti fino a questo punto. L'uomo deve rendersi conto che il proprio metro di giudizio rispetto alla distribuzione della ricchezza è inefficace, perché non riesce a distinguere gli scopi dell'anima. Di fronte ad una tale deficienza, si rendono indispensabili una serena presa di coscienza delle proprie potenzialità e dei propri limiti e un fiducioso abbandono ai percorsi della vita. Le esperienze vanno accolte indipendentemente dal giudizio che possiamo esprimere su di esse ed utilizzate per modificare il nostro fondamento di vita. Seguendo queste semplici indicazioni, è possibile aprire le nostre vite all'ingresso della gioia. L'accettazione è anche lo strumento che consente di arrivare a distinguere i desideri autentici da quelli indotti: un passaggio fondamentale per arrivare a formulare desideri che possano avverarsi. Nessun desiderio può infatti avverarsi se non è in linea con gli obiettivi dell'anima.
In sostanza, abbiamo iniziato a parlare di gestione della proprietà privata per arrivare a concludere che non esiste una ideologia migliore di un'altra. Sbaglia chi semplifica la questione, affermando che Gesù affermasse principi "comunisti" (ne ho sentiti diversi): Gesù non fornisce mai regole sociali, ma sempre e soltanto indicazioni del tutto personali. Le Sue parole ed i Suoi insegnamenti individuano un percorso iniziatico, costellato di prove che possono essere superate con umile accettazione della propria condizione e totale fiducia nel Maestro Supremo che è la Vita. L'iniziato che ha superato la prova
non
è come tutti gli altri, ma anzi si distingue dalla moltitudine, guadagnandosi il diritto a sacrificarsi perché altri possano procedere lungo il medesimo percorso.