Nel precedente post sulla benedizione non abbiamo chiarito bene come funziona questa meravigliosa tecnica di liberazione, limitandoci a spiegare ai lettori di che cosa si tratta, e abbiamo invitato tutti a praticarla. In questo post cerchiamo di fornire istruzioni più precise in merito, spiegando come renderla efficace e cercando di capire perchè funziona.
Come praticarla?
Come praticarla?
Volontà |
Il secondo ingrediente che occorre è l'attenzione, che va indirizzata verso il problema da risolvere. Il modo migliore per stimolare la mente a produrre l'attenzione necessaria è usare la tecnica della visualizzazione, che consiste nel generare una immagine mentale del problema. Se si intende guarire un dolore fisico, è bene visualizzare i confini della zona sofferente: non bisogna accontentarsi di dire un generico "fa male qui", indicando solo un punto; occorre esplorare mentalmente e in dettaglio ogni punto del corpo che duole, fino ad individuare col massimo dettaglio la forma e l'estensione della zona dolorante. Se si intende risolvere una situazione complicata, è possibile visualizzare le persone coinvolte nel problema come se si trovassero a pochi metri di distanza; quindi è bene cercare di visualizzare il torto che riteniamo di aver subìto da ciascuna di esse come frecce o saette che hanno origine da quelle persone e sono rivolte verso di noi. In entrambi i casi sarà opportuno visualizzare le zone dolenti come colorate, per esempio, di rosso.
Un paio di consigli per chi è alle prime armi. Il primo è di non voler strafare, ma di concentrarsi su un problema alla volta: in caso contrario si potrebbe fornire alla mente materiale per "svicolarsi", abbandonandoci prima di cominciare. Il secondo è di far caso, nel lavoro di visualizzazione, alle emozioni che si provano. Le emozioni sono collegate ai dolori fisici, come ad ogni altra forma di sofferenza: non vanno sfuggite, ma osservate molto attentamente, ed utilizzate per disegnare meglio i confini della zona dolorante. Agli scettici consigliamo di restare tali, almeno finchè non avranno sperimentato.
Si procede quindi alla benedizione vera e propria, che normalmente richiede di imbastire un piccolo rito. Tutti abbiamo più o meno in mente il
gesto che compie il Papa nel momento in cui offre la benedizione: forma
con la mano un preciso mudra, piegando anulare e mignolo e distendendo
le altre tre dita, quindi rivolge il segno di croce ai fedeli, recitando il mantra "vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo". Nelle ricorrenze di San Biagio, i sacerdoti usano benedire la
gola dei fedeli avvicinando a questa due candele benedette incrociate. Noi dovremo fare qualcosa di simile, individuando un gesto, una formula che aiuti a mantenere viva l'attenzione: immersi nella nostra visualizzazione, pratichiamo il nostro simbolo o recitiamo il nostro mantra rivolti a ciascuna delle zone dolenti "colorate di rosso".
Se si è lavorato bene, il sollievo è istantaneo: si può avvertire un allentamento della tensione e, in casi particolarmente complicati, una commozione che può sgorgare da dentro, accompagnata da un senso di liberazione. I mali possono migliorare, le situazioni possono modificarsi e rendersi più innocue. Ognuno poi la vive a modo proprio. Occorre provare.
Perchè funziona?
"Tutta suggesione", direbbe la scienza. "Intervento divino", direbbe il credente. Hanno probabilmente ragione entrambi, e del resto poco importa, se funziona. La benedizione è innanzitutto un metodo per aiutare l'individuo a vivere il momento presente, affrancandosi dall'ossessionante tendenza della mente a voler continuamente rivivivere il passato o anticipare il futuro. La visualizzazione dell'area dolorante, la determinazione precisa dei confini del problema da benedire non sono altro che una presa di coscienza viva e partecipe della realtà che esiste nell'istante presente.
Confinare il problema impedisce che questo assuma, a livello psichico, dimensioni enormi, coinvolgendo la totalità dell'individuo. La mente ha infatti la tendenza ad immedesimarsi, ad identificarsi con i problemi, talvolta fino a renderli parte stessa della personalità ("io sono quello che soffre per questo e quest'altro motivo"): fatto questo che può spingere le persone a fare delle scelte non proprie. Visualizzare dei confini per il problema permette di osservare il problema dall'esterno, avviando il processo di disidentificazione.
L'ultimo tassello, che è la benedizione vera e propria, è l'apice della presa di coscienza, e coincide con il momento della totale accettazione della realtà presente. La realtà è ciò che è stato creato per consentire all'individuo di conoscere sè stesso. Nella nostra "realtà", ogni emozione genera azioni, le quali scatenano reazioni, che suscitano a loro volta altre emozioni. Queste ultime, se non si interviene, possono innescare un nuovo ciclo emozione-azione-reazione, costringendo l'individuo a rivivere sempre le medesime situazioni, e a fare gli stessi errori. La benedizione del dolore interrompe questo incantesimo, riportando l'individuo a sè stesso, e affrancandolo dal trasporto meccanico operato dalle emozioni.
In sostanza, con la benedizione siamo in grado di dire "va bene, ho capito: il mio comportamento e le mie convinzioni mi hanno immerso in questa situazione spiacevole. Riconosco di aver sbagliato, avendo sperimentato sulla mia pelle le conseguenze del mio errore, e mi assumo la piena responsabilità del mio errore. Ora non ho più bisogno di sperimentare questa situazione di dolore e lo lascio andare".
Quindi la benedizione è innanzitutto una osservazione priva di giudizio della realtà, a cui segue una determinazione dell'entità del nostro problema, che si conclude con la sua accettazione incondizionata: la chiave per la felicità. Ciò che hanno insegnato, in modi diversi, Cristo, Buddha, Socrate, Gurdjieff, e tanti altri maestri, passati e presenti.
"Tutta suggesione", direbbe la scienza. "Intervento divino", direbbe il credente. Hanno probabilmente ragione entrambi, e del resto poco importa, se funziona. La benedizione è innanzitutto un metodo per aiutare l'individuo a vivere il momento presente, affrancandosi dall'ossessionante tendenza della mente a voler continuamente rivivivere il passato o anticipare il futuro. La visualizzazione dell'area dolorante, la determinazione precisa dei confini del problema da benedire non sono altro che una presa di coscienza viva e partecipe della realtà che esiste nell'istante presente.
Confinare il problema impedisce che questo assuma, a livello psichico, dimensioni enormi, coinvolgendo la totalità dell'individuo. La mente ha infatti la tendenza ad immedesimarsi, ad identificarsi con i problemi, talvolta fino a renderli parte stessa della personalità ("io sono quello che soffre per questo e quest'altro motivo"): fatto questo che può spingere le persone a fare delle scelte non proprie. Visualizzare dei confini per il problema permette di osservare il problema dall'esterno, avviando il processo di disidentificazione.
L'ultimo tassello, che è la benedizione vera e propria, è l'apice della presa di coscienza, e coincide con il momento della totale accettazione della realtà presente. La realtà è ciò che è stato creato per consentire all'individuo di conoscere sè stesso. Nella nostra "realtà", ogni emozione genera azioni, le quali scatenano reazioni, che suscitano a loro volta altre emozioni. Queste ultime, se non si interviene, possono innescare un nuovo ciclo emozione-azione-reazione, costringendo l'individuo a rivivere sempre le medesime situazioni, e a fare gli stessi errori. La benedizione del dolore interrompe questo incantesimo, riportando l'individuo a sè stesso, e affrancandolo dal trasporto meccanico operato dalle emozioni.
In sostanza, con la benedizione siamo in grado di dire "va bene, ho capito: il mio comportamento e le mie convinzioni mi hanno immerso in questa situazione spiacevole. Riconosco di aver sbagliato, avendo sperimentato sulla mia pelle le conseguenze del mio errore, e mi assumo la piena responsabilità del mio errore. Ora non ho più bisogno di sperimentare questa situazione di dolore e lo lascio andare".
Quindi la benedizione è innanzitutto una osservazione priva di giudizio della realtà, a cui segue una determinazione dell'entità del nostro problema, che si conclude con la sua accettazione incondizionata: la chiave per la felicità. Ciò che hanno insegnato, in modi diversi, Cristo, Buddha, Socrate, Gurdjieff, e tanti altri maestri, passati e presenti.